venerdì 28 ottobre 2011

HO UCCISO MIO MARITO

"THE LAST CHAPTER"
LE COSE CHE NON TI HO MAI DETTO
(Prima parte)
Che le donne siano sempre state un passo avanti agli uomini, questo è più che risaputo. Una donna sa sempre cosa vuole, cosa fare per ottenerlo e, fidati, lo ottiene. Sempre e comunque. Una donna non perde mai la testa. Mai. Ma se per caso, dovesse mai dovesse mai succedere allora, fidati ancora, è stato tutto calcolato prima e di sicuro con largo, larghissimo anticipo. Per una donna non esista la minima defaillance. Anzi no, esiste, solo ed esclusivamente se la defaillance è stata prima con cura inclusa, ad arte, nel suo eventuale piano d’attacco. Ma io non sono una donna. Io ho perso la testa. Senza volerlo. Senza accorgermene. Quando quella sera, decisi di far fuori mio marito, accadde tutto così in fretta che, giuro, quasi non riuscivo a crederci. Ricordo solo quella strana, doppia sensazione che dapprima non riuscivo neanche a scindere tanto ero fuori di me. Fumavo. Continuavo a fumare e quasi “ammiravo” l’orrore che si presentava a me e di cui io ero l’unico artefice. Si, stavo fermo, immobile e impassibile sulla scena del crimine, quella che con cura avevo reso viva solo pochi minuti prima. Fu tutto quel sangue che mi aiutò a capire, a realizzare, ad elaborare quelle due forti emozioni che stavano facendo a cazzotti dentro di me. In un certo senso posso dire che per un periodo di tempo che non saprei quantificare, mi son ritrovato a contemplare, letteralmente, quel palcoscenico in cui l’attore principale perse la vita in maniera così tragica, che poi, altri non era che il salotto di casa mia. Se non altro, mi ero trovato un ottima scusa per cambiare il divano. No, perché dobbiamo dare a Cesare quel che gli appartiene, quel divano faceva proprio cagare. L’ho sempre detto io che non tutto il male viene per nuocere. Ad ogni modo io, non ho paura a confessarlo, mi sono sentito, per la prima volta in vita mia, totalmente libero. Questa volta si, ero totalmente, indiscutibilmente libero. Avevo fatto veramente un ottimo lavoro ed ero più che soddisfatto. Poi presi il coltello. Passai sulla lama un fazzoletto. Un fazzoletto di cotone che gli apparteneva, e mi diressi in cucina, per lavare  quel coltello che ormai era diventato l’arma con cui ero riuscito a riscattarmi. Un gioiello preziosissimo a cui volevo riservare le cure che meritava. Mentre passavo per il corridoio però fu inevitabile per me fermarmi. Mi fermai preso d’assalto da queste due voci che, dentro la mia testa, si alternavano e mi ripetevano all’infinito “Ora sei libero!” e subito dopo ”Ora sei solo!”. Che pena! Che pena, si. 

(continua)

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