giovedì 17 febbraio 2011

Multi-Poli

Personaggio dalla dirompente carriera, enfant terrible del teatro italiano dal talento prepotente e incasellabile, straordinario cocktail di facce e di camuffamenti pazzi. Bastano pochi minuti a teatro per amarlo, poche righe del libro-intervista con Giovanni Pannacci “Siamo tutte delle gran bugiarde” per capirlo. Ovviamente stiamo parlando di Paolo Poli, che nelle poche pagine del suo testo ha messo tutto: la famiglia, gli amici, le ispirazioni, la cultura, il teatro, i successi, l’amata sorella Lucia, la radice toscana, la vocazione dissacratoria, le disinibizioni, le impudenze. Vestimenti e travestimenti con piume di struzzo, i falpalà, le sante e le vamp. Poli è un anticipatore delle soap, delle fiction ingarbugliate e tumultuose che tanto piacciono al pubblico, dei drammoni mutuati dalla cronaca nera e sapientemente trasformati in sceneggiato popolare.
Il suo teatro metafisico ha la vocazione di volgere il peggio in meglio: i suoi bersagli sono la retorica e l'ipocrisia di una società ancora connotata da mentalità piccolo borghesi; ma lo fa a modo suo, coniugando satira di costume, parodia e funambolismo, malinconia e guizzo farsesco in un fine divertissement cabarettistico. E’ il racconto fatto carne. 
Con lui ogni lampo di vita, ogni incontro, ogni libro, poesia o canzone diventano un’epopea narrativa nel cui fondo trovi ammirazione, affetto e dileggio. Ha fatto dell’ambiguità una bandiera e dello sfottò un genere. Natalia Ginzburg di lui ha scritto: «Fra i suoi molteplici volti nascosti, c’è essenzialmente quello d’un soave, ben educato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza». E’ un artista rigoroso, vuole giocare e rischiare, senza avere padroni e, alla fine del libro, si scopre che non c’è alcuna differenza fra l’attore e l’uomo. Come l’attore, anche il Poli uomo adora incantare gli interlocutori, tessere affabulazioni che intrecciano verità e invenzione. Ma la menzogna per Poli non è una bugia, diventa trucco, trovata scenica. 
“Io adoro” dice “mettere le frange alla realtà, perché l’immaginazione prolunga la vita”. 
Ecco perché colui che è stato nominato Grande Ufficiale della Repubblica si definisce “una gran bugiarda”.
Recentemente ha portato in giro per l’Italia "Sillabari", uno spettacolo liberamente tratto dai racconti di Goffredo Parise, una preziosa collezione di tutte o quasi le casistiche sentimentali che colorano l’esistenza umana in cui recita, canta, balla e si cambia d'abito almeno venti volte… uno straripare di colori, allegria e buonumore. Poli distilla e comunica, come nessun altro, lo spirito lieve e caustico insieme del quale i Sillabari sono innervati. Sulla scena è uno spettacolo e straordinarie sono la sua mimica corporea e facciale: da lasciar stupefatti. Ovviamente l’età c’è tutta ed il cantare non è più nelle sue corde, ma tutto il resto c’è, oh se c’è. C’è quella spensieratezza, quell’amore mai sopito per il palcoscenico, per la parola, per il pubblico. Vediamo bambini stupiti in un mondo ambiguo, vecchietti arrabbiati in una società allo sbaraglio, donne sole dal quieto bovarismo periferico e uomini ancora ingenui nella lotta per la sopravvivenza. Ancora una volta le varie ambientazioni sono di Emanuele Luzzati, galvanizzanti la grande pittura del novecento, i costumi straordinari di Santuzza Calì, le musiche simboliche di Jacqueline Perrotin, le coreografie spassose di Alfonso De Filippis; il tutto ad avvolgere la imponente figura del quasi centenario Paolo Poli dall'irrimediabile infantilismo congenito.

(Vittorio Matonti)



Bio-Poli
Paolo Poli attore, regista, autore, dopo essersi laureato in letteratura francese con una tesi su Henry Beque, insegna e lavora per la radio, oltre che recitare in compagnie vernacolari. Nel 1959 entra a far parte de "La Borsa di Arlecchino", il piccolo teatro d'avanguardia che nasce a Genova grazie ad A. Trionfo. Suo primo vero spettacolo è nel 1961, Il Novellino, che va in scena alla Cometa di Roma, a cui fanno seguito una serie di spettacoli divertentissimi, costituiti in gran parte da montaggi di testi letterari commisti ad altre fonti di varia cultura o di cronaca popolare; è un vero e proprio teatro da camera, che rimarrà carattere distintivo del suo modo di fare spettacolo. È l'inizio di una dirompente carriera: Il diavolo (1964), Rita da Cascia (1967) con cui scandalizza: la rappresentazione viene sospesa a Milano per oltraggio alla religione e verrà riproposta molti anni dopo, La rappresentazione di Giovanni e Paolo (1969), Carolina Invernicio (1969), La vispa Teresa (1970), L'uomo nero (1971), Giallo (1972). A testi più suoi, come i suddetti, alterna classici (Il mondo d'acqua di A. Nicolajs, Il suggeritore nudo di F.T. Marinetti) e parodie di commedie celebri, come l'esilarante sua interpretazione, nel ruolo della protagonista, de La nemica di D. Niccodemi (1969). In questo periodo gli si affianca come fedele collaboratrice Ida Omboni, e agli inizi degli anni '70, per un breve periodo, si unisce a lui la sorella Lucia, come coautrice e attrice (Apocalisse, 1973; Femminilità, 1975). Negli anni '90 il bricolage parodistico-letterario dei suoi spettacoli si accentua e inizia la grande saga dei miti. Il coturno e la ciabatta (1990), tratto da Alberto Savinio e scritto da Ida Omboni, con le scene di Luzzati. Poi la divertente rilettura de L'asino d'oro di Apuleio (1996). Nel 1997/98 dà vita ai mitici Viaggi di Gulliver, da Swift, ancora con le scene di Luzzati, tenendo sempre alta la propria abilità di artigiano teatrale.



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